TORRE DI ANGELMARO

La possente costruzione militare, ancora oggi emergente nel panorama urbano, si colloca lontano dal castello, su uno sperone roccioso nei pressi della chiesa di San Giuliano. La torre, eretta nei primi decenni della conquista normanna, è passata alla storia perché teatro di alcune vicende cavalleresche note attraverso la cronaca di Goffredo Malaterra e trascritte in volgare siciliano da fra’ Simone da Lentini: nel 1081 il gran conte Ruggero aveva dato in sposa Aldruda, vedova del valoroso cavaliere Serlone, al milite Angelmaro. Quest’ultimo, a cui spettava per la dote della moglie la quarta parte della contea di Geraci, si inorgoglì dell’onore ricevuto, tentò di circuire gli abitanti del luogo e trasformò la sua abitazione in una possente torre, emblema del nuovo status sociale; ma ciò provocò l’ira di Ruggero, che assediò il borgo, destituì Angelmaro e riprese il pieno controllo del sito.

Non si conoscono altre fonti documentarie sull’edificio, a dimostrazione che nei secoli successivi ebbe un ruolo marginale rispetto al castello, mentre fu importante nella fase della conquista normanna della città, fino ad allora in mano agli Arabi. La torre ripropone lo schema tipologico del donjon su motta, ossia del baluardo su un’altura (naturale o artificiale), diffuso in Normandia e nel sud dell’Inghilterra e introdotto in Sicilia al tempo della conquista; tra gli esempi più noti, la torre di Motta Sant’Anastasia, nella Sicilia orientale, mostra precise analogie dimensionali e costruttive con la fabbrica geracese.

La costruzione, oggi trasformata in abitazione, si presenta come un severo e compatto volume su quattro livelli, i cui lati misurano in pianta circa dodici metri per otto. Al piano terra sul lato orientale è posto l’ingresso, mentre sul lato meridionale si sono conservate due feritoie che dall’interno hanno una profonda strombatura destinata all’arciere; questi due fronti prospettano su uno stretto cortile, chiuso a est da un tratto della cinta muraria che in origine circondava la torre e sul quale si apre il portale d’accesso ad arco acuto.

 Testo di Giuseppe Antista