CHIESA DI SANTA MARIA LA PORTA

14 Chiesa di Santa Maria la Porta 01

La chiesa è così intitolata perché era adiacente a una delle principali porte urbane ed ha incorporato una precedente fabbrica dal carattere militare, verosimilmente il “castelluccio” tuttora ricordato dalla toponomastica. Questo avamposto è individuabile nel corpo di fabbrica oltre la parete di fondo della navata, che presenta all’esterno un corpo prominente con gli angoli smussati; inoltre nella trama muraria del lato orientale della chiesa si distinguono tre feritoie dai bordi in mattoni, poste a distanza regolare, la merlatura di coronamento (inglobata nella successiva sopraelevazione del muro) e un’apertura ad arco.

In una data imprecisata il presidio difensivo venne dismesso a favore dell’attuale luogo di culto, la cui costruzione fu avviata a partire dalla metà del XV secolo; la chiesa ha un impianto a croce latina e vi si accede da un pregevole portale in marmo bianco posto sul fianco occidentale. Esso è definito da due snelle semicolonne con motivi vegetali che reggono un fregio decorato da teste di cherubini, sul quale poggia una grande lunetta con la Madonna col Bambino, affiancata da angeli e conclusa in sommità da una croce; due pilastri si accostano dal lato interno alle colonne e reggono a loro volta un architrave scolpito con la figura di Dio Padre tra l’arcangelo Gabriele e l’Annunziata entro ghirlande d’alloro. Alla base dei piedritti si scorgono i rilievi con Adamo ed Eva, mentre sul loro fianco, appena sotto l’architrave, vi sono due mensole con putti reggenti lo stemma dell’Universitas di Geraci (sul lato destro) e quello dei Ventimiglia (sul lato sinistro); inoltre un’iscrizione sul margine superiore della lunetta e sull’architrave riporta i nomi dei committenti e la data: Hoc op(us) fieri feceru(nt) (co)nfratres S(anctae) M(ariae) P(ortae) Nicolaus Languilla (…) et Valem de lumia. Cappellanus presbiter Antonius de Paladino. 1496.

L’opera aderisce pianamente a schemi rinascimentali e presenta delle affinità con il portale laterale della chiesa Madre di Mistretta del 1494, attribuito ad Andrea Mancino e Antonio Vanella, artisti che si rifanno entrambi ai modi di Domenico Gagini, ma ancora più stringenti appaiono le analogie con il portale orientale della chiesa Madre di Alcamo, datato 1499 e assegnato al carrarese Bartolomeo Berrettaro; i due portali, aventi in sommità una croce, mostrano infatti le stesse colonne ricoperte da foglie e bacche fasciate da un nastro e gli stessi rilievi nella lunetta e nell’architrave (la Vergine attorniata da cherubini, Maria e l’Angelo).

Certamente più tardo è il portale in pietra del fronte settentrionale della chiesa, formato da due semicolonne tuscaniche che reggono una trabeazione composta dall’architrave, dal fregio pulvinato e dalla cornice ad ovuli e dardi. Si accede a questa zona passando sotto la torre campanaria, che è stata costruita a partire dal 1611 da Gregorio de Messina e Antonio Gambaro di Castelbuono, lo stesso maestro che quindici anni dopo attuerà il rinnovamento della chiesa Madre; come altre chiese di Geraci, anche questo campanile era coronato da una guglia in mattoni policromi, che purtroppo è stata distrutta da un fulmine nel secolo scorso.

Tante le opere d’arte custodite all’interno, a partire dal pregevole affresco della cappella sul fondo della navata, che rappresenta la Vergine nell’atto di allattare il Bambino su un solenne trono coperto da un baldacchino poligonale; tutte le parti architettoniche dipinte (archetti trilobati, rosoncini traforati e merlature frastagliate) si rifanno al repertorio flamboyant e l’affresco, databile alla prima metà del XV, è permeato dalla cultura gotico-internazionale, con influssi iberici, borgognoni e fiamminghi.

A una concezione molto diversa appartiene invece la statua in marmo della Madonna col Bambino risalente al 1475 e attualmente collocata su un’alta nicchia in fondo alla navata; nel basamento troncopiramidale è raffigurata la Circoncisione ed è leggibile un’inscrizione che riporta la data e i nomi di (Fran)cesco Dagos(tara) e Petro Girlado, verosimilmente committenti dell’opera. La scultura è stata riferita a Domenico Gagini, il capostipite della famosa famiglia di scultori originari di Bissone, sul lago di Lugano, che aveva aperto una florida bottega a Palermo.

Ai primi decenni del Cinquecento risale la preziosa ancona marmorea del presbiterio, che si presenta oggi a colori vivaci per via delle ridipinture; essa è articolata in tre registri da paraste con decorazione a grottesche che reggono una trabeazione con teste di cherubini e definiscono dei riquadri figurati. Secondo uno schema consueto, il retablo presenta in sommità Dio Padre, nel livello inferiore la Natività con ai lati le figure dell’Annunciazione e in basso la Presentazione di Gesù al Tempio, tra l’Adorazione dei Magi e la Fuga in Egitto. Nella predella sono riprodotti gli Apostoli, con alle estremità San Bartolomeo e San Giacomo, i santi più venerati a Geraci nella qualità di patrono e protettore della città; accanto a questi ultimi sono raffigurati i committenti dell’opera, individuabili tramite l’iscrizione sovrastante nel marchese Simone I Ventimiglia e nella consorte Isabella Moncada.

Per via della committenza, ribadita dallo stemma Ventimiglia-Moncada sulla trabeazione, l’opera può essere datata tra il 1501, anno in cui Simone venne investito del marchesato e il 1516, quando divenne viceré di Sicilia; anche l’Universitas cittadina, il cui emblema è riportato nella parasta laterale, dovette partecipare alla commissione del manufatto, che è stato attribuito a Giuliano Mancino e alla sua bottega, nonché ad Antonio Vannella, artisti che non solo risultano attivi in diversi centri del marchesato ventimigliano, ma che avevano lavorato proprio per la chiesa di Santa Maria la Porta negli anni 1500 e 1511, come si evince da due atti relativi all’acquisto di colonnine in marmo. Sempre nel presbiterio, degna di nota è anche una croce in marmo della seconda metà del Quattrocento, che reca nei capicroce le figure dei dolenti, il pellicano (noto simbolo cristologico) e la Maddalena ai piedi della poderosa figura di Cristo.

Dalla piatta decorazione a stucco che riveste l’interno della chiesa, forse appartenente a una fase posteriore ai terremoti del 1818-1819, si distingue la cappella sinistra del transetto, che custodiva la citata Madonna del Gagini: il sontuoso altare con colonne ruotate rispetto al piano della parete e sormontate da timpano curvo risale al 1609 ed è opera del maestro Antonino Conforto da Castelbuono.

 Testo di Giuseppe Antista